Donne allo specchio – progetto ideato e realizzato da Micaela Zuliani.
“Come in nessun luogo, quanto tra i riflessi di uno stesso specchio, possano inseguirsi la verità e l’inganno.”
Nuovo progetto fotografico di Micaela Zuliani, l’intento è rappresentare la donna e il suo riflesso. LA SFIDA è essere autentiche allo specchio e contemporaneamente in foto: due canali dove finzione e verità spesso si confondono.
La scelto della posa, look, specchio usato è scelto dalla donna ritratta, tutto ha un senso perché soggettivo, non imposto dall’autore della foto.
Il progetto “Donne allo specchio” non è solo uno scatto fotografico ma una vera e propria sfida ed esperienza che può creare un cortocircuito, vediamo perché. *(dettagli sotto)
Si può entrare in connessione, empatia nel vuoto, nel silenzio del solo sguardo ? In una società dove tutto è apparire, suoni, dichiarazioni? Vedremo… [fotografie in ordine di data scatto).
Lo stesso progetto è stato poi proposto agli uomini.
*Per realizzare questo progetto che vuole rappresentare il doppio, il riflesso delle persone, la difficoltà di essere autentiche davanti allo specchio e davanti alla fotocamera contemporaneamente, dove finzione e realtà si mescolano, prende ispirazione anche da due importanti personaggi: Irving Penn e Marina Abramovic.
Entrambi, il primo un grande fotografo di moda e ritratti, la seconda una performer, decidono di avere un contatto, una relazione col soggetto col solo sguardo, non con la voce, quasi sfidandoli a stare nel vuoto e nel silenzio, uno di fronte all’altro.
IRVING PENN dal 1948 iniziò a fotografare grandi celebrità mettendoli letteralmente “all’angolo” col suo “Corners Portrait“, ovvero in uno spazio ristretto, un set ad angolo acuto, neutro, con due pannelli messi insieme e il pavimento coperto con un pezzo di moquette vecchia. Questo confinamento inaspettatamente era vissuto non come una costrizione ma sembrava dare conforto ai soggetti ritratti. Il suo obiettivo fu quello di togliere ogni distrazione dovuta al personaggio e arrivare alla persona con una conversazione senza parola tra il fotografo e il soggetto ritratto. “Entrambi i protagonisti cosi sono vigili e pronti ad accettare il rischio di un umiliante fallimento e se sono fortunati, tale collaborazione può dar vita a una foto che sembra toccare l’anima del soggetto” dichiarò il fotografo.
Nel 2010, in occasione della retrospettiva che il Moma dedicò a MARINA ABRAMOVIC, più di 750mila persone aspettarono in fila fuori dal museo per avere la possibilità di sedersi di fronte all’artista e di comunicare con lei senza dire una parola, in una performance senza precedenti durata più di settecento ore.
Ovviamente il progetto”Donne allo specchio” non vuole essere così ambizioso, ma un esperimento, una sfida che ha una durata massima di 45′ per soggetto ritratto, in cui la donna che vuole partecipare dovrà decidere intimamente se lasciarsi andare o mantenere maschere, decidere che posizione avere e che specchio usare, tutto in uno spazio ristretto e sempre uguale per tutte, dove la fotografa stavolta non metterà a proprio agio i suoi soggetti, ma starà in silenzio ad osservarle per poi scattare una foto in analogico e una in digitale.
Introduzione “Allo specchio” dott.ssa Stefania Colombo:
” Quando ci guardiamo allo specchio, l’effetto che può provocare vedere il nostro riflesso influenza il nostro modo di relazionarci con gli altri e con noi stessi. Ovviamente noi però non siamo degli osservatori neutrali di noi stessi. Ecco perché per molte persone guardarsi allo specchio può essere tutt’altro che facile. Questo semplice gesto quotidiano può essere un esercizio tutt’altro che banale come ben ha colto la fotografa Micaela Zuliani che nel suo
Progetto “ donne allo specchio “ ritrae con il suo occhio fotografico alcune donne allo specchio: Micaela scrive :” la sfida è di essere autentiche allo specchio e contemporaneamente in foto, due canali dove finzione e verità spesso si confondono “
Progetto audace e coraggioso…. ma può essere anche definito come un esercizio terapeutico?
Credetemi, guardarsi allo specchio, può essere un esercizio non banale; quando si tratta della nostra psiche, spesso l’ovvio è difficile da esplorare, perdipiu di fronte ad un terzo che assiste ed è testimone dell’incontro fra me e la mia immagine.
In alcuni setting di terapia lo specchio viene utilizzato come un oggetto prezioso che può aiutare il paziente ad entrare in contatto con aspetti di se’.
Anch’io lo uso nel percorso terapeutico di alcuni miei pazienti.
Pensate che solo noi esseri umani e una piccola percentuale di altre specie animali è in grado di riconoscesi allo specchio. E pensate anche che il riconoscimento della nostra immagine riflessa allo specchio è una tappa fondamentale dello sviluppo del bambino.
I bambini poi, più naturalmente degli adulti , utilizzano lo specchio per esplorare possibili sé. Avete mai visto un bambino allo specchio?
Il principio cardine del “guardarsi allo specchio” è quello dell’esposizione a se stessi. Del guardare in faccia pregi e difetti che potremmo avere, ma non solo.
Significa accettare come siamo fatti, accettazione che chiaramente deriva dalla consapevolezza di NON poter cambiare certe parti di noi. Si possiamo sempre migliorare ma fino ad un certo punto.
Per accettarti devi vederti davvero, per riconoscerti devi sapere chi sei.
Per una sana accettazione è necessario “vedersi davvero” e non fare finta che quei difetti non ci siano.
Non sto parlando solo di un’immagine fisica, ma anche di emozioni che affiorano nello sguardo, o di una postura che segnala un peso portato sulle spalle.
Non è facile guardasi allo specchio e restare presenti a se stessi, un po’ come non lo è quando si è in relazione con un altra persona.
Quando ti guardi allo specchio entri comunque in relazione con la tua immagine corporea, entri in relazione con tutta una serie di contenuti mentali relativi a quell’immagine, e non solo.
Guardarsi allo specchio può essere l’occasione per uno sguardo profondo sul “sé” oppure può permettere di esplicitare idee e pregiudizi su se’ stessi, di scoprire quanto il nostro ideale del “sé” si discosti da quello reale, spesso si rivelano diverse parti in gioco, in un’unica immagine riflessa.
Quindi sì : posare di fronte allo specchio,sotto l’occhio vigile di una fotografa, pronta a cogliere un accenno di intimità fra noi e noi stessi, può essere definito anche un progetto terapeutico.
Un progetto che vuole cogliere l’essenza di un quadro dove una donna si specchia, pronto ad afferrare quel momento in cui possono cominciare a schiudersi piccoli spiragli sulla sua emotività, porte d’accesso alla conoscenza profonda di se’ e del momento che vive.”


















































